Anoressia e bulimia: la risposta è nel cervello?
Grazie alla disponibilità di sofisticati strumenti quali la risonanza magnetica funzionale per immagini o fMRI (functional Magnetic Resonance Imaging) con una certa regolarità, si pubblicano studi più o meno interessanti sul funzionamento del cervello e le sue implicazioni in numerosi comportamenti umani. È innegabile il vantaggio che le più recenti tecnologie apportano alla ricerca scientifica e proprio la fMRI è tra i dispositivi che possono maggiormente aiutarci a comprendere molti aspetti della vita tuttora poco noti o sconosciuti.
Accade però spesso, che tra le tante ricerche pubblicate, ogni tanto qualcuna si faccia spazio più rapidamente delle altre e venga divulgata verso l’opinione pubblica in modi non sempre del tutto corretti.
In questo caso è toccato al recente studio(1), pubblicato questo novembre (Translational Psychiatry, 2016) e condotto dall’equipe guidata da Guido Frank (Università del Colorado – USA) che, ripreso da diverse fonti negli Usa e anche in Italia, viene riportato come una sorta di dimostrazione del correlato biologico dei disturbi del comportamento alimentare, anoressia e bulimia nervosa in particolare.
Diffondere questi studi lasciando intendere che si tratti di scoperte che possano consentire di comprendere i meccanismi neurali per i quali alcuni pazienti soffrono di questi disturbi mentre altri no, è un grave errore e un’illusione per le persone che quotidianamente combattono con queste dolorose manifestazioni psicopatologiche.
In questa ricerca, è risultato evidente che i circuiti cerebrali coinvolti nell’appetito e nella nutrizione, in persone con anoressia e bulimia, mostrano differenze significative rispetto a quelli di altre persone. Nessuna evidenza però, in questo o in altri studi, dice perché questo accada. Le persone coinvolte nello studio erano tutte già anoressiche e bulimiche e i loro "cervelli", prima delle manifestazioni comportamentali anoressico-bulimiche funzionavano esattamente come quelli di tutte le altre persone del mondo. Le modificazioni neurobiologiche si stabilizzano, infatti, dopo che un soggetto è già diventato anoressico o bulimico a causa del suo comportamento.
Alterazioni cerebrali, rese evidenti dagli studi condotti con strumenti diagnostici per immagini, si verificano nel nostro cervello praticamente in ogni situazione e condizione della vita psichica umana normale o patologica. Anche il cervello di un innamorato o di un’innamorata è funzionalmente differente da quello di un soggetto non rapito dalla passione amorosa, ma questo non dice assolutamente nulla sul perché una persona s’innamori esattamente di quell’altra persona e tantomeno dice qualcosa sull’esperienza soggettiva della persona innamorata.
Per la verità, non è la prima volta che gli studi del prof. Frank - di per se stessi interessanti - siano successivamente raccontati (e quindi sviliti) come si trattasse di rivelazioni scientifiche in grado di localizzare i disturbi del comportamento alimentare in determinate aree o funzioni del cervello. Il portale Psych Central(2), nel citare uno studio di Frank del 2012, scrisse letteralmente che il motivo per cui una persona diventa anoressica è per «colpa del cervello» (leggi qui l’articolo).
Ovviamente la ricerca in questione(3) (Neuropsychopharmacology, 2012) non giungeva affatto a simili conclusioni, ma più semplicemente si limitava a mostrare quanto le risposte neurobiologiche, in cui sono coinvolti i meccanismi cerebrali di ricompensa, tra persone obese e anoressiche fossero molto diverse.
Se queste ricerche possono essere d’interesse per gli studiosi, lo sono in verità molto meno per i pazienti ed è il caso di scriverlo chiaramente, senza ricercare a tutti i costi scoop che possono solo alimentare confusione e false aspettative nel lettore.
Anche le considerazioni appena fatte possono apparire scontate ai clinici e agli specialisti, può essere invece utile far comprendere più chiaramente ai non professionisti che problematiche psicopatologiche complesse quali i disturbi del comportamento alimentare o le dipendenze patologiche, non siano localizzate in nessuna area specifica del cervello. Non si tratta di “malattie del cervello”, bensì di complesse manifestazioni cliniche che coinvolgono l’individuo nella sua interezza psicofisica, a partire dal suo contesto sociale ed affettivo, sino alla sua storia personale e familiare.
Riferimenti: