Orgasmo vaginale, donne a caccia di miti
In numerosi suoi scritti Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, evidenziò più volte che la fisiologia sessuale della donna fosse incompleta rispetto a quella dell’uomo dotato di fallo. Per Freud la legge naturale impone che quest’ultimo è il modello al quale aderire. Egli formulò il concetto di invidia del pene, derivante dal sentimento di frustrazione e di inferiorità da parte della piccola nel momento in cui scopre che il maschietto è dotato di un organo in lei assente. Da qui una serie di reazioni psicologiche attribuite al sesso femminile che, secondo dottrina, caratterizzeranno le sue scelte future. La ricerca di un figlio (sostituto simbolico del pene), o la concentrazione sulla propria clitoride sarebbero la conseguenza di questa condizione immatura.
Nelle sue disquisizioni sulla sessualità femminile Freud incalzò evidenziando che l’organo specificatamente femminile è la vagina mentre il clitoride altro non sarebbe che un residuo del pene maschile e che sarebbe adibito a reazioni sessuali prettamente mascoline. Il piacere clitorideo, quindi, è un piacere residuale, incompleto con connotazioni mascoline e, sotto certi aspetti, immaturo. Il vero sviluppo sessuale lo si otterrebbe esclusivamente con l’abbandono di questo piacere per favorire una sessualità matura e completa. Freud, infatti, commentò che i disturbi nevrotici di molte donne sono rappresentati proprio dal fallimento di questa operazione di passaggio e dalla loro incapacità di passare dallo stato clitorideo a quello più evoluto, ossia vaginale.
Freud contribuì, quindi, a gettare le basi “mitologiche” della differenza tra i due orgasmi e, soprattutto, a costruire, dal nulla, una malattia all’interno della quale ancora molte, troppe, donne oggi si inquadrano. Freud non aveva alcuna prova per sostenere le sue affermazioni né alcun dato fisiologico in grado di spiegare in che termini potesse avvenire questo passaggio fisico di piacere dall’organo clitoride a quello prettamente vaginale.
Negli anni settanta i ricercatori Masters e Johnson, con le loro ricerche orientate a misurare i parametri fisiologici di una coppia durante il rapporto sessuale (aumento del calore, afflusso di sangue e contrazioni degli organi genitali in fase di orgasmo) contribuirono a fare chiarezza sulla questione evidenziando che nella fase di orgasmo è necessariamente implicata la stimolazione clitoridea e che, in realtà, non esiste alcuna differenza fisiologica di piacere. Un rapporto vaginale che induce verso l’orgasmo non può prescindere dalla stimolazione clitoridea (anche indiretta) ma, in alcune occasioni, è solo interpretato, erroneamente, a livello cognitivo, come indipendentemente da essa.
In tempi più recenti il ricercatore Vincenzo Puppo ha pubblicato uno studio in cui evidenzia come la maggior parte delle descrizioni dell’organo femminile in numerose riviste internazionali non sia mai stato sottoposto ad alcun controllo e termini come “vagine clitoridea” “uretra clitoridea” non solo non hanno basi scientifiche ma che hanno contribuito ad incrementare la disinformazione, soprattutto nelle donne, sulla loro fisiologia sessuale. Egli ricorda che NON esiste nessun “orgasmo vaginale”.
Nonostante queste informazioni il mito del doppio orgasmo continua ad aleggiare in giovani donne che vanno alla ricerca, illusoria, del piacere completo vivendo un senso di frustrazione che scaturisce dal nulla e, spesso, dall’aver sentito qualcuna che riesce ad avere un piacere vaginale più intenso o, addirittura, di essere in grado di distinguerlo. Tale distinzione è solo una differente interpretazione di una medesima reazione fisiologica che cambia in base a credenze e a diverse informazioni che si hanno sull’argomento. E’ il software (sistema cognitivo) che codifica l’orgasmo in vaginale o clitorideo, ma l’hardware (corpo) ne è dotato solo di uno.
La vera nevrosi descritta da Freud, quindi, oggi, deve necessariamente essere letta al contrario, ossia essa non è la conseguenza della incapacità di emanciparsi verso un orgasmo vaginale maturo, ma nasce dalla ricerca di un inesistente piacere che appartiene ad un errore di descrizione ed ad un mito. La frustrazione della mancanza di questo piacere cesserà solo se si smetterà di cercare qualcosa che non è mai esistito.
Si veda.
- Freud S., Contributi alla psicologia della vita amorosa, 1912.
- Puppo V., ISRN .Obstetrics and Gynecology 2011.
- Masters e Johnson, in La terapia del comportamento (quaderni), 190.