Esorcismo: quando la “cura” è peggiore del male
di Anna Rita Longo (CICAP Puglia)
Minuta, capelli biondi, occhi chiari e lievemente vitrei. Cammina lungo la navata della chiesetta di un paesino pugliese guardandosi attorno e sorridendo rapita, come se solo una piccola parte di lei fosse in quel momento presente, mentre la parte più importante, quella più vera, rincorresse pensieri troppo importanti per essere tradotti in parole. Sembra davvero felice, anche se forse la parola giusta sarebbe “estatica”, perché quella gioia è simile alla trance di un medium o, ancor di più, agli stati alterati di coscienza tipici dei mistici. La conferma giunge immediata quando inizia a parlare: adopera un linguaggio colorito, degno delle più intense pagine di Santa Teresa d’Ávila. «Il bacio dello sposo è passione», afferma parlando della sua relazione con Cristo, iniziata dopo un lungo percorso costellato di dolori e traversie. Racconta la storia di un’infanzia negata, parla di abbandono, di violenza, di abuso. La narrazione si fa quasi cinematografica quando parla di una setta satanica nella quale si trova coinvolta – a suo dire – per colpa di una psicologa che avrebbe adoperato il proprio mestiere per adescarla. Inizia da qui la sua discesa verso la più nera abiezione, fino al felice epilogo seguito a un intero anno di sei-otto ore quotidiane di esorcismo. Le manifestazioni della possessione demoniaca sono tratte repertorio classico: strani sanguinamenti, fortissimi dolori alle ossa, mobili che decidono di traslocare da soli. Al di là dell’esorcismo e del ritorno ai sacramenti solo la pace e un’estatica felicità.
Personalmente nutro serie perplessità sulle circostanze riferite – molto simili alla trama di un romanzo d’appendice o di un B-movie –, né riesce a ispirarmi fiducia quello sguardo estatico che denota scarsa capacità di guardare alla realtà in maniera critica. Ma ammettiamo di trovarci di fronte a un resoconto fatto in buona fede, da una persona decisa a riferire con schiettezza la verità dei fatti dal proprio punto di vista. Che si condivida o meno il suo percorso di “redenzione”, se l’esito è veramente uno stato di benessere psicofisico, non si può fare a meno di considerarlo oggettivamente positivo. Ma a leggere tra le righe si scopre che forse non tutto è stato indolore. Che quelle ore di esorcismo sono state estenuanti, sul piano fisico come su quello psicologico. Che alla fine ci si sentiva svuotati, soli, sofferenti. Ma si aveva l’impressione di aver vinto una lotta terribile contro un demonio subdolo e sempre in agguato.
Per quanto blasfemo possa sembrare, vorrei tentare di fare un paragone. Il paziente che viene sottoposto a un intervento chirurgico soffre per un po’ di tempo di una serie di dolori che sono tipici del decorso postoperatorio. Essi sono la conseguenza spiacevole di una pratica medica necessaria per il ripristino delle condizioni di salute, per cui si può ragionevolmente dire che, nonostante i dolori, è stato un bene sottoporre il paziente a quell’intervento.
La vicenda della donna di cui abbiamo parlato, come quella di tutti i presunti indemoniati, ha dei punti in comune con quella di Regan, la ragazzina protagonista del celebre film L’esorcista (tratto dall’omonimo romanzo di W. P. Blatty) del quale quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario, che verrà celebrato con una proiezione della pellicola in molte sale cinematografiche. La vita di Regan sembra divisa in un “prima dell’esorcismo”, caratterizzato da violenza, abiezione, mancanza di controllo del proprio corpo, e da un “dopo l’esorcismo”, con il ritorno a una vita serena, al dominio di sé e – questo è un must – a una fede pericolosamente messa da parte negli anni precedenti. Un altro tema ricorrente di queste narrazioni è quello della medicina e della psichiatria impotenti di fronte alla sintomatologia che si manifesta. L’unica soluzione resta, quindi, la pratica esorcistica, dolorosa, estenuante, ma necessaria, come l’intervento chirurgico di cui parlavamo prima.
Ma le cose stanno davvero in questi termini? A quanto pare sembrerebbe proprio di no, come afferma Armando De Vincentiis, psicologo e psicoterapeuta, autore del libro Indemoniata: nascita ed evoluzione di una sindrome da possessione (Libellula Edizioni, 2012). La storia raccontata è quella di una ragazza, Rosa, cresciuta in un ambiente familiare intriso di fondamentalismo religioso, alla quale viene fatto credere di essere posseduta da un’entità demoniaca. L’esorcismo che ne segue ha tutt’altro che l’effetto salvifico che si ritrova nei film o nelle “pie” narrazioni di chi lo sostiene o lo pratica. Non si tratta del dolore necessario al ripristino della condizione di salute, ma di un vero e proprio abuso, che lascia tracce profonde nella psiche di chi lo subisce, e che rafforza, nel soggetto coinvolto, l’idea che in lui ci sia qualcosa di sbagliato, pericoloso, immorale, con effetti che spesso permangono nel tempo. Non di rado la conseguenza di queste pratiche è il radicamento di un disturbo psichico caratterizzato dalla presenza di una serie di rituali a sfondo mistico-religioso, attraverso i quali il soggetto si illude di scongiurare la possibilità di essere nuovamente preda del demonio. Nel migliore dei casi, l’effetto sarà quello dell’estatica pace che si scorge nel viso della donna della quale ho parlato, la cui vita sembra sospesa in una dimensione onirico-misticheggiante, parallela alla realtà. Personalmente posso solo augurarle che il velo che la isola dal mondo non venga mai squarciato, perché il risveglio potrebbe essere traumatico.
Per carità, l’autoinganno è parte della vita di ogni uomo: quando qualcosa va male, è normale cercare di consolarsi con il pensiero che la nostra sofferenza abbia un senso. Forse lo è un po’ meno chiamare «grandi doni del Signore» i lutti e le sciagure che ci hanno colpito o attribuirli a «Gesù che è un amante geloso e ci vuole tutti per sé», come ha affermato con convinzione la donna della testimonianza che ho ascoltato. Se questo stato di dissociazione dalla realtà è la più auspicabile conseguenza di una pratica esorcistica e di un percorso mistico, allora bisogna davvero chiedersi se valga la pena di tentare questa strada. O non convenga, piuttosto, affidarsi alla scienza, che è impotente solo di fronte alla sfiducia e alla mancanza di razionalità.